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Stragi e rappresaglie

Se la violenza può essere considerata connaturata a uno status di paese in guerra, con l’occupazione tedesca e la nascita della Repubblica di Salò essa assunse più spesso i contorni di crimini contro l’umanità che di inevitabile conseguenza delle vicende belliche.

Da subito, la presenza tedesca in Italia fu caratterizzata da un uso estremo e sistematico della violenza, esercitata nei confronti di un popolo ritenuto colpevole del tradimento dell’8 settembre; in seguito, con l’intensificarsi dell’attività partigiana, la convinzione dell’occupante che l’intera popolazione sostenesse i ribelli alimentò una spietata “guerra ai civili” sentiti come ostili e, quindi, colpevoli. Gli alti comandi nazisti sostennero e tutelarono questi eccessi con la garanzia dell’impunità per le truppe. A ciò si aggiunse la cruenta efficienza dei reparti armati collaborazionisti della Rsi, impegnati a riscattarsi agli occhi dell’alleato-padrone.

Il Modenese non sfuggì a tali logiche e in particolare a partire dall’estate del 1944, quando il comandante delle forze armate tedesche Kesselring diede nuove disposizioni alle truppe (individuare ostaggi da fucilare, bruciare le abitazioni, impiccare i partigiani in piazza, considerare responsabili gli abitanti dei paesi dove avvenivano sabotaggi), le rappresaglie si intensificarono in modo impressionante (167 uccisi tra la metà di luglio e quella di agosto). In marzo, in anticipo sugli ordini, il reparto esplorante della divisione Hermann Goering insieme a due plotoni della Gnr e dell’esercito repubblicano si erano macchiati del massacro di 131 civili inermi a Monchio, Susano e Costrignano.
Tra l’estate del 1944 e la Liberazione altri eccidi e stragi vennero compiuti a Fossoli, nei Boschi di Ciano, a Modena, a Carpi, a Campiglio di Vignola, a San Cesario, a Ospitaletto di Marano, a Castelfranco Emilia e in numerose altre località della provincia, per un totale (ad oggi) di quasi novecento tra civili e partigiani uccisi per rappresaglia da tedeschi e fascisti.

Il percorso proposto si sviluppa a ridosso del fiume Panaro a partire da Castelfranco Emilia, dove tra la primavera del 1944 e l’inverno successivo si ebbe una considerevole escalation di violenza. Sugli spalti del Forte Urbano, fortezza seicentesca adibita durante il Ventennio a carcere duro per i detenuti politici, i fascisti inaugurarono nel marzo 1944 la stagione della repressione con la fucilazione di dieci giovani provenienti da Renno (Pavullo nel Frignano). I dieci, renitenti alla leva, si erano presentati spontaneamente per l’arruolamento fidandosi del bando che garantiva l’immunità, ma il comunicato ufficiale della condanna divulgò che la cattura fosse avvenuta durante “la loro attività terroristica e delittuosa”. La fucilazione al Forte Urbano avvenne in realtà  per rappresaglia a seguito di un attacco partigiano contro un gruppo di militi della Guardia Nazionale Repubblicana di Pavullo.
Pochi mesi dopo, il paese si trovò al centro di una delle pagine più buie dell’occupazione nazista: dopo aver rastrellato settanta persone il 12-13 dicembre 1944, le SS al comando del tenente Schiffmann ne rinchiusero una parte nell’ammasso canapa di via Loda, torturandoli per giorni. Undici di essi il 17 dicembre vennero portati a San Cesario, sul greto del Panaro, e lì trucidati; tra di loro vi era anche la partigiana Gabriella Degli Esposti, incinta e già madre di due bambine, Medaglia d’oro al valor militare. Oggi nel parcheggio del centro commerciale di via Loda è visibile il monumento dedicato ai Martiri del Panaro.

Anche la zona di Vignola fu teatro di non comuni episodi di sangue, a partire dall’eccidio di Villa Martuzzi. In questa villa in località Campiglio, sede del comando SS, il 26 dicembre 1944 vennero seviziate e uccise diciassette persone, rastrellate vicino a Guiglia pochi giorni prima. Se i bombardamenti alleati di marzo non avessero colpito le due fosse comuni in cui i corpi erano stati occultati, molto probabilmente l’eccidio sarebbe passato sotto silenzio. La villa, sulle colline di Campiglio, è oggi di proprietà privata, ma una lapide all’esterno ricorda le vittime dell’episodio.

Il 13 febbraio 1945, in località Pratomaggiore, otto partigiani provenienti dalle carceri di Modena furono impiccati dai tedeschi, aiutati dalla Brigata nera, per rappresaglia per l’uccisione di un sottufficiale tedesco. I loro corpi rimasero esposti per due giorni ai margini della strada, con la modalità tipica di un sistema di repressione volto a intimidire l’intera popolazione. In località Bettolino il monumento ai caduti di Pratomaggiore, opera del vignolese Marco Fornaciari, è la traccia odierna di questa vicenda.

Tappe

  1. Forte Urbano - Castelfranco Emilia
  2. Monumento ai Martiri del Panaro - Castelfranco Emilia
  3. Lapide dell’eccidio di Villa Martuzzi - Campiglio - Vignola
  4. Monumento ai caduti di Pratomaggiore - Bettolino - Vignola
Proprietà dell'articolo
data di creazione: martedì 12 agosto 2014
data di modifica: lunedì 18 agosto 2014